Nel 1963 L’ing. Carlo Chiti (ex Ferrari ed ex ATS) viene chiamato dal “presidentissimo” dell’Alfa Romeo Giuseppe Luraghi a dirigere l’attività sportiva ma come un’entità separata. Il 4 marzo viene costituita l’AUTO DELTA con soci Chiti e Lodovico Chizzola, titolare di un concessionario Innocenti a Tavagnacco, provincia di Udine: una sede così defilata consente di avere la giusta privacy per lavorare alle Alfa da corsa. Il reparto sportivo del Biscione lavora alla Giulia TZ e, successivamente, alla sua erede, la Giulia TZ2 del ’64. Alla fine di novembre ’64 l’azienda viene trasformata in Autodelta S.p.A.: la sede legale è a Feletto Umberto (Udine) ma quella operativa a Settimo Milanese, porte di Milano. Qui verrà definitivamente spostata nel ’66.
Durante il ’64 mentre La TZ vestita da Zagato con la celeberrima forma a “coda tronca” è nel suo primo anno di corse (la TZ2 è in preparazione) si profila l’intenzione di progettare un modello più sofisticato e sviluppato per i vertici sportivi. Giuseppe Luraghi vara la creazione di un’Alfa Romeo con motore 8 cilindri posteriore-centrale che avrebbe disputato le gare in categoria Sport. La denominazione ufficiale è Progetto 105.33 ma l’auto è da subito nota semplicemente come Alfa Romeo 33.
Il Responsabile Tecnico Giuseppe Busso progetta un telaio in alluminio con forma ad H asimmetrica. È composto da tre tubi di 200 mm di diametro e 2,5 mm di spessore che ospitano i serbatoi in gomma del carburante (circa 100 litri). La struttura si completa con due fusioni in magnesio che sostengono il motore, la trasmissione e le sospensioni. Queste ultime sono formate da quadrilateri trasversali oscillanti in lamiera scatolata, saldati con perni e boccole. All’anteriore sono posizionati porta-mozzi in acciaio, i posteriori sono in elektron (una lega di magnesio e alluminio).
L’ossatura ha un peso di soli 48 kg e registra una rigidità torsionale pari a 535 kg/m. Il passo ha una lunghezza di 2.350 mm a cui sono abbinate carreggiate ampie 1.350 mm davanti e 1.445 mm dietro.
Il propulsore scelto è un nuovo 8 cilindri a V di 90° di 1.995 cc con doppio albero a camme in testa, due valvole per cilindro, doppia accensione e doppia pompa elettrica. Grazie all’iniezione meccanica Spica eroga non meno di 250 Cv a 8.800 giri ed è abbinato a cambio a 6 rapporti tutti sincronizzati.
La carriera della 33 inizia il 12 marzo del ’67 alla cronoscalata di Fleron in Belgio, vinta da Teodoro Zeccoli. L’impegno successivo è alla 12 Ore di Sebring, prima sua partecipazione ufficiale nel Mondiale Sport.
Nel frattempo la Casa Madre si dedica allo sviluppo di una versione con regolare targa stradale, leggermente meno estrema dal punto di vista meccanico (il telaio è in acciaio ma il motore è identico alla versione da corsa) ma non meno entusiasmante dal punto di vista del design e delle prestazioni.
Il designer Franco Scaglione disegna una forma voluttuosa, apoteosi di funzionalità e aerodinamicità. Per la costruzione è utilizzato il peraluman, una costosa lega di alluminio e magnesio . Durante lo studio del design i prototipi della 33 da strada sono allestiti con l’applicazione di fili di lana lungo la superficie. Ciò permette, in movimento, di osservare il cammino del flusso d’aria lungo la superficie, alla ricerca della massima efficienza.
La carrozzeria è più corta di quattro metri e più bassa di un metro, contraddistinta dal cofano che prende tutta la coda e si apre verso l’esterno per offrire il più rapido accesso al motore e agli organi meccanici. Considerate le dimensioni ridotte dell’abitacolo il designer fiorentino sviluppa porte con apertura diagonale in avanti e verso l’alto (sul tipo della Ferrari LaFerrari o la Maserati Mostro di Zagato) per agevolare l’ingresso. Il frontale, piccolo e compatto, è fornito di grandi fari carenati.
La Alfa Romeo 33 Stradale, forte di 230 cavalli di potenza, e peso nell’ordine di 700 kg ha prestazioni entusiasmanti: scatto 0-100 km/h in poco più di 5 secondi e una punta massima di 260 km/h. Fa il suo debutto in pubblico al Gran Premio di F1 a Monza nel settembre ’67 e successivamente viene esposta al Salone di Parigi in ottobre. Il prezzo è fissato in poco meno di dieci milioni di Lire, una cifra enorme per l’epoca. Al confronto una Dino 206 GT costa 4.750.000 e una Rolls-Royce Corniche 15 milioni.
La produzione dell’hypercar milanese si conclude nel ’69 dopo “circa” venti esemplari prodotti. Le fonti indicano in diciotto il numero di unità costruite, tutte allestite dalla Carrozzeria Marazzi a Nord di Milano. Quello che segue è un elenco dei numeri di telaio compresi i prototipi.