Il mestiere di progettare automobili è certamente figlio delle tecniche sviluppate dagli architetti navali per i disegni a grandezza naturale delle carene. Mentre da secoli esistono progetti di barche a carene parallele come le canoe tahitiane a bilanciere, per le auto a doppia fusoliera bisogna attendere l’influenza delle innovazioni belliche come l’aereo sperimentale biplano Fokker M.9 a doppie travi di coda risalente alla Prima Guerra Mondiale.
Costruita per la 24 Ore di Le Mans del 1955, la Bisiluro da corsa DaMolNar (alta 1 m, lunga 3,85 m, larga 1,56 m e dal peso di 450 kg), con carrozzeria in alluminio verniciata in un rosso brillante, il colore de rigueur di tutto ciò che è veloce e italiano, nacque dalla collaborazione tra 3 progettisti: Mario Damonte, Carlo Mollino e Enrico Nardi.
Forse, ciò che più ci affascina di questo progetto, è che sia stato invertito il senso di progettazione dell’auto: prima si è pensato a creare il “guscio estetico”, poi a riempirlo delle tecnologie.
Il motore è stato quindi scelto in un secondo momento e, in base alla forma creata, si è poi pensato alla struttura meccanica come l’impianto frenante e di distribuzione.
Mollino, pur prendendo spunto dal veicolo da record Bisiluro Tarf, costruito da Piero Taruffi nel 1948, pare si sia ispirato maggiormente alle forme della OSCA MT4 (1953).
Al fine di ottenere un sottile profilo alare, l’ingegnere Mollino modellò il volume centrale della vettura fino a concepire un progetto totalmente assimetrico composto da 2 carlinghe separate collegate mediante un piano longitudinale a profilo alare che copriva un telaio tubolare a traliccio che si rifaceva ad alcuni disegni della FIAT 1100 e della Lancia Appia.
Nella fusoliera di destra trova posto sia il pilota sia il capiente serbatoio del carburante mentre, in quella di sinistra, più bassa, è montato il motore con il sistema di trasmissione.
Nel piano centrale, si nota un ampio radiatore in ottone di tipo aeronautico costituito da uno scambiatore termico acqua-aria fatto di sottili lamelle di rame.
Si trattò di una vera e propria innovazione stilistica in quanto Mollino, anziché utilizzare i classici radiatori dell’epoca a nido d’ape che, come muri, incontravano l’aria e frenavano la macchina, disegnò questo radiatore con tubi a forma di ala di aereo, forse quanto di più aerodinamico conosciamo a oggi.
Nella parte davanti dei due siluri si notano due fanali di forma circolare mentre i due fanalini di coda si trovano sul bordo d’uscita del piano centrale.
La vettura è dotata di sospensione anteriore a foderi verticali e di un retrotreno a ponte rigido con doppi ammortizzatori su ambo i lati.
L’angusto abitacolo vanta un sedile in pelle nera, un cruscotto di colore azzurro con 3 quadranti circolari e un volante a 3 razze con profilo a cerchio tronco ovalizzato nella parte inferiore.
Questo volante, dal design firmato da Enrico Nardi, fu pensato sia per facilitare l’inserimento delle gambe del pilota sia per riuscire ad abbassare il piantone dello sterzo in modo significativo.
La Bisiluro mostra inoltre pannelli copriruota removibili e lo specchietto retrovisore retrattile tramite un comando interno.
Monta un 4 cilindri in linea Giannini G2 da 750cc con valvole in testa e sistema di distribuzione bialbero a ingranaggi chiuso da un cofano apribile dotato di prese d’aria.
Il propulsore bialbero, progettato dall’ingegnere romano Carlo Gianini (con una sola N mentre, azienda è con doppia N), è direttamente tratto dall’innovativo quattro cilindri impiegato, nel 1953 e nel 1954, sulla Moto Guzzi da Gran Premio.
Il 750 G2, nella speciale configurazione pensata per Le Mans, era in grado di spingere i 450 kg della vettura oltre i 215 km/h.
L’impianto frenante, che consiste in quattro freni a tamburo supportati da un freno aerodinamico costituito da due alettoni piani e controrotanti, è montato a incasso nella parte centrale della carrozzeria tra i due siluri e comandato a pedale.
Quest’ingegnoso sistema frenante aveva lo scopo di decelerare il veicolo senza scomporne l’assetto alleggerendo lo stress del freno a tamburo.
Peccato che l’avventura francese delle 24 Ore di Le Mans durò solo circa due ore; la profilatissima vettura italiana, che manteneva una velocità media sul giro di 148 km/h, venne infatti scaraventata fuori pista dallo spostamento d’aria prodotto da una grossa Jaguar in sorpasso.
Fortunatamente, non ci furono conseguenze per chi la stava conducendo, il pilota italiano Mario Damonte.