Pragmatismo, razionalità, passione, talento. In una parola: cultura dell’auto sportiva. La potresti sintetizzare così l’aura di mito che circonda il brand – inglese – McLaren. Alle nostre latitudini ti compri una 911 perché è la supercar perfetta per tutti i giorni. Un gradino più in alto la scelta è per una Ferrari 488 o per una Lamborghini Huracan (siamo italiani, che diamine!). L’Audi R8 (una Huracan con… quattro anelli) è espressione di cultura germanica e ti conquista soprattutto se cerchi qualcosa un briciolo meno estremo (le sue forme eteree si intende) del Toro e il tuo mito è Nuvolari che mette di traverso una Auto Union da Grand Prix (ma le R8 sono – “purtroppo” – tutte trazione quattro). La Mercedes AMG GT non la consideriamo “solo” perché ha il motore anteriore.
C’è l’ultima stanza della libidine: la porta per entrarvi è tutta in fibra di carbonio, prodromo alla sostanza del concetto e – in pratica – simbolo della ossatura telaistica dell’animale che abita quella stanza.
Dalla fondazione 1963 e fino agli Anni 80 (escludendo la M6 esemplare unico, vettura personale del boss) McLaren ha prodotto solo automobili da corsa. Bruce McLaren dilagò in Formula 1 e nella serie CanAm spazzando via la concorrenza più titolata (Porsche, Ferrari, Lola, Tyrrell, Brabham) e costruendosi in pochi anni un piedistallo altissimo.
Scomparve troppo prematuramente nel ’73 mentre provava una delle sue macchine ma i suoi eredi hanno continuato a portare avanti il suo verbo. Poi è arrivato Ron Dennis e nel 1981, con la MP4/1, prima monoposto di F1 al mondo con scocca in carbonio, il mondo è cambiato. E nel 1991, con la magnifica F1 a 3 posti motorizzata BMW (12 cilindri, 6 litri) è cambiato anche il mondo delle auto stradali. Ancora oggi, da molte, troppe parti, arriva un laconico e lapidario giudizio: “dopo la McLaren F1, nessuna ha fatto meglio!”.
Su queste pesanti basi fondanti McLaren oggi fonda il proprio successo. Il resto l’ha fatto un’accorta e straordinaria strategia di prodotto, che partendo da un telaio (un monoscocca in fibra di carbonio che ha rivoluzionato il segmento delle supercar a motore centrale di grande diffusione) e un motore (V8 3.8, due turbocompressori) ha creato tre linee di prodotto e oltre 10 modelli. Oggi spazia dai 540 Cv della McLaren 540C ai 916 della P1 GTR ibrida passando per tre famiglie di modelli: Sport Series, Super Series e Ultimate Series.
Vanta una versione aggiornata del monoscocca in carbonio utilizzato sulle Super Series (650 e 675): presenta soglie di ingresso più basse di 8 millimetri per agevolare l’accesso in abitacolo, pesa 75 kg ed è più rigido del 25%.
Dietro, in posizione posteriore-centrale, l‘unità 838TE a 8 cilindri con V aperta a 90° e due compressori a gas di scarico (570 Cv a 7.500 giri, 600 Nm a 5.000 giri). Trazione posteriore, cambio a doppia frizione con 7 marce. 0-100 in 3″2, 0-200 in 10″9, 328 km/h, 100 – 0 in 33 metri.
La miglior dimostrazione del “talento” della McLaren 570S è nella guida nel traffico. Anche se il sound del V8 biturbo è sempre sopra un certo livello di volume (e ciò è magnifico!) rispetto alla sorella più confortevole, la 570 GT (con portellone e tetto in vetro), la 570S è addirittura una supercar gradevole: progressiva, mai brutale, con un assetto relativamente confortevole e una buona visibilità anteriore grazie al musetto spiovente. Insomma, con un utilizzo morigerato dispensa qualche carezza: l’atmosfera da grande supercar è abilmente modellata per trasformarsi in una stradista dotata di un pizzico di comfort (sedili elettrici, schermo centrale multifuzione per comandare stereo/clima/navigatore).
Abbiamo guidato la 570S sotto una pioggia scrosciante, condizione che non ha permesso, per questo primo test, di saggiare il comportamento più estremo. Mantenendo i settaggi dell’elettronica Active Dynamics in configurazione di riposo, l’asfalto bagnato ha comunque offerto lo scenario ideale per capire come va la 570S su terreni poco congeniali.
La 570S è la chiara dimostrazione del livello attuale della tecnologia McLaren applicata all’automobile: telaio estremamente rigido e grande leggerezza (1.313 kg a secco) sono gli ingredienti ideali. Il V8 è capace di esplodere in uno 0-100 da coprirsi in poco più di 3 secondi e 0-200 in circa 11″. Ci abbiamo provato in autostrada e, in una partenza con una vigorosa accelerazione, la 570S slitta anche in quinta
marcia a oltre 180. Naturalmente il livello di vigilanza dell’elettronica supera qualsiasi aspettativa. L’ESP e il controllo di trazione hanno una capacità di reazione “spaventose” e anche il più piccolo sovrasterzo di potenza è facilmente correggibile con piccole azioni sul volante. Solo oltre i 250 si inizia a notare un leggero alleggerimento del frontale.
Il V8, con una grande riserva di coppia, è sempre pronto anche in quinta o – addirittura – sesta marcia, a riprendere con inesauribile energia. A 130 in quinta, con un energico affondo la 570 S schizza in avanti impetuosa: i turbo spingono da subito evidenziando un ritardo di risposta davvero contenuto. Occhio, comunque, alla settima: è una marcia di riposo, adatta a coprire in autostrada lunghe distanze. Il che può avvenire – come effettivamente testato – a velocità anche elevate: il comfort acustico anche a 200 orari è di ottimo livello, poco peggiore rispetto ai 130 con una normale berlina.
Porte a farfalla, scocca in carbonio, un V8 biturbo di grandissima levatura, confortevole nella guida disimpegnata e impetuosa qualora si volesse fare sul serio. Sicuri che 488 e Huracan/R8 siano le uniche e le sole?